POLITICA: TRA INDIVIDUALISMO E SOLIDARIETÀ

Pubblicato da il 1 agosto 2020

Mi sono chiesto se avevo qualcosa da dire dopo aver ricevuto il cortese invito rivolto ai collaboratori della “Rivista 23 Marzo”. Il periodo di ferie estive favorisce riflessioni,  un maggior raccoglimento che raramente è concesso durante l’anno a fronte di un’attività professionale quasi sempre,  a dir poco,  frenetica e non solo di chi scrive.
Molti, forse troppi, stimoli culturali, oltre a quelli già propri dell’attività lavorativa, mi provocano e mi inducono a scrivere queste righe, nella convinzione che il tema,  così impegnativo, approfondito e abusato insieme, abbia un certo interesse fra i potenziali lettori destinatari delle brevi considerazioni che seguono.
Prescindo volutamente dalle trattazioni dotte,  dai riferimenti di altissimo livello degli intellettuali che si sono occupati dell’argomento (dalla infinita bibliografia, dai filosofi greci e della civiltà classica in generale, a Macchiavelli, ad un maestro scomparso di recente come Norberto Bobbio, a Vittorio Foa, a Gustavo Zagrebelsky, ad Edmondo Berselli, a Giovanni Sartori, a Gianfranco Paquino, a Giovanni Reale, per citare solo i nomi di eminenti intellettuali che mi sovvengono per ora) per riflettere ulteriormente ed esporre in maniera estemporanea,  in termini semplici,  quello che penso.
A prescindere dalle domande sulle questioni fondamentali di tipo religioso che attengono ad un altro e diverso approccio, occorre davvero molto impegno personale e inoltre una certa forza interiore per riuscire a conseguire per i giovani intellettualmente onesti,  una sintesi per la formazione di una netta concezione politica,  anche solo di appartenenza ad una certa area (per comodità preferisco definire “aree”, sia quella di centro-sinistra, sia quella di centro-destra).
L’adesione ad un partito politico appartiene ad una sfera di interesse ancora più personale, ad una certa “passione” che esige una ancor più specifica scelta di campo.
Appartenendo le convinzioni politiche sia alla sfera della razionalità, sia alla sfera della “passione” (che scaturiscono dalle origini e tradizioni familiari, dal luogo di nascita e dall’ambiente e dalle relazioni interpersonali, dalla formazione culturale in generale, dalle esperienze di vita, dalle ingiustizie subite etc…) non può e non deve destare meraviglia che altri possano pensarla in modo diverso (e talvolta opposto) da ciascuno di noi (il che è connaturato alle idee di tolleranza,  di disponibilità all’ascolto e al dibattito, di democrazia).
Credo che sia importante che la gente,  i giovani in particolare,  si occupino e continuino ad occuparsi di politica in generale e anche di adesione alle varie forze politiche e dunque al partito politico nel quale ognuno possa, almeno in qualche modo riconoscersi (i partiti sono parte integrante dell’ordinamento democratico – art. 49 Costituzione: “ Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”).
L’inevitabile disincanto, a fronte del venir meno di alcune idee forza del secolo scorso,  può essere contrastato attraverso la ricerca incessante di una propria peculiare crescita umana, culturale completa,  e quindi anche politica (l’adesione ad un partito politico è logicamente un percorso successivo all’adesione  ad un’area politica,  ma è prima un’adesione estemporanea ad un partito politico e quindi magari di conseguenza,  all’area di appartenenza).
E dunque per esemplificare:
I^ ipotesi: l’uomo è per sua natura egoista, individualista,  preda e vittima di istinti di prevaricazione nei confronti dei suoi simili e istintivamente aspira alla massima e incondizionata libertà individuale; la natura dell’uomo non consente di superare tali suoi vincoli che attengono al suo modo di essere e di sentire,  alla sua istintività: è tesi pessimistica,  spietatamente scettica, che più facilmente è connaturata ad una concezione che fonda i suoi presupposti sulla immutabilità sostanziale dell’atteggiamento dell’uomo verso i suoi simili (homo homini lupus) pur tenendo conto,  ovviamente del progresso (scientifico, tecnologico etc…); l’obiettivo di una società con più uguaglianza tra gli uomini e più diritti per tutti,  con la tensione al massimo del bene comune,  è un’illusione; occorre prendere atto della impossibilità di riporre fiducia nell’uomo e necessariamente adeguarsi a tale ineludibile dato di fatto e comportarsi di conseguenza,  senza dunque alcun cedimento verso una sorta di “romanticismo ideale”, ritenuto foriero talvolta anche di pericolose e gravi conseguenze in concreto;
II^ ipotesi: l’uomo può evolvere e innovarsi dal punto di vista della propria crescita umana, anche in ragione dell’evoluzione stessa delle condizioni sociali, economiche,  culturali che attengono in particolare a nuove forme di civiltà favorite anche dalle nuove conoscenze in ogni campo del sapere,  del  progresso scientifico e tecnologico (anche se a volte,  secondo una certa tesi “scandalo” la tecnologia applicata può creare più problemi di quanti ne risolva): è la tesi che postula l’idea di riuscire “a gettare il cuore oltre l’ostacolo”, fino al limite dell’illusione,  ma senza mai sfociarvi (per la considerazione della realtà e per un atteggiamento di ragionevole coraggio), la possibilità in generale dell’uomo in concreto di emanciparsi dall’egoismo, di migliorarsi sostanzialmente,  di relazionarsi con i suoi simili non privilegiando solo l’aspetto della libertà,  ma anche e in particolare quello delle eguali chances di successo in tutti gli aspetti della vita di ognuno (secondo tale tesi la società è in grado di garantire “uguaglianza delle posizioni iniziali di ciascuno” senza distinzione di “sesso, di razza, di lingua,di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3 Costituzione).

Tra l’altro l’attuazione in concreto dei principi fondamentali (I^ parte) della nostra Carta costituzionale è stato ed è ancora attualmente un formidabile, patrimonio ideale “rinnovatore”,  paradossalmente poco conosciuto e costituisce un onere (nell’ambito di responsabilità, di ruolo, di competenza di ciascuno),  di comportamenti conseguenti.
Non può essere stato e non è solo il “sogno  – obiettivo” di una parte della generazione del secolo scorso quello di un mondo senza violenze, guerre, senza ingiustizie per “un’età dei diritti” da perseguire con razionalità e coraggio e senso critico,  previo esame dell’esistente,  ma con la necessaria tensione ideale: nè potrebbe essere “rimossa” l’idea delle forze cosiddette “progressiste”, di un impegno per la società migliore possibile, sorretto dalla fiducia nell’uomo,  dall’impegno militante per una razionalità positiva,  moderna e critica,  in primo luogo per una incondizionata ripulsa netta del mito della forza della violenza e della guerra,  dell’arbitrio, dell’illegalità, del sopruso e della prevaricazione dell’uomo sull’uomo.
E’ vero che vi è un maggior distacco della gente rispetto a quello che è la politica dei partiti oggigiorno per essere venuta meno una certa tensione ideale,  ma,  poichè per sua natura,  l’animo dell’uomo è inevitabilmente proteso sempre verso nuove conoscenze,  anche la dialettica politica fra le forze politiche si esprime e si esprimerà in forme nuove ed originali.
Penso ad esempio alla solidarietà,  allo straordinario fenomeno positivo del volontariato laico e cattolico che ha finito per attrarre di più i giovani rispetto alla politica dei partiti,  fenomeno che comunque appartiene alla “buona” politica.

Per quanto riguarda quindi la I^ predetta ipotesi si può forse convenire sul fatto che un atteggiamento scettico e “cinico” rispetto all’aspirazione ideale ad una società immune da ingiustizie, considerata utopistica,  inconcludente,  priva di realismo,  potrebbe indurre a giustificare al contrario e anche razionalmente lo status quo,  nonchè l’assenza di tensione ideale (finalizzata al formarsi di una società “giusta”) e di iniziativa riformatrice e quindi l’inevitabilità e la permanenza delle disuguaglianze, talvolta anche “disumane” e in generale dei mali che affliggono la n/s società,  il mondo dei nostri tempi,
Per quanto riguarda la II^ ipotesi, si può invece forse ritenere che,  per altro verso,  un atteggiamento che privilegi eccessivamente la tensione ideale verso un “mondo perfetto” in modo acritico,  può indurre comportamenti  “non virtuosi”, sterili e perfino talvolta contrari al bene comune.
Ovviamente tali considerazioni e tale distinzione tra le due ipotesi opposte devono essere considerate brevi e sommarie semplificazioni di problemi ancora più profondi ed evidentemente molto più complessi.
Mi auguro che queste righe scritte di getto suscitino la curiosità intellettuale (atteggiamento sempre fecondo per la crescita culturale di ognuno) dei lettori della rivista,  specie dei giovani.

Avvocato Primo Francescotti

 

Pubblicato sulla “Rivista 23 Marzo – Cavriago nella politica, nella cultura,  nella storia”