Pubblicazione del libro “Qualcuno ci penserà”

Pubblicato da il 1 gennaio 2021

Copertina Libro Qualcuno ci penserà Primo Francescotti

Copertina Libro Qualcuno ci penserà Primo Francescotti

 

 

Ho sempre provato un certo imbarazzo ad esporre idee che comunque toccano aspetti personali.
Sono ora prevalse emozioni che attengono sotto alcuni profili, alle “cose che contano”, riferibili a vicende “corali” a fatti, episodi, accadimenti, umanamente significativi: è un bilancio di eventi, una storia anche di un lontano passato, di affetti e di emozioni, ad un certo punto inevitabile; c’è qualcosa che mi tengo dentro da lungo tempo e che voglio rendere pubblico, condividere.

E’ maturata la mia personale consapevolezza, una sorta di impulso morale, in un certo senso si è dipanata una matassa di valori propri di chi scrive e delle varie persone, animatrici della storia stessa.

La storia dal titolo “Qualcuno ci penserà” inizia nel 1906 (anno dell’emigrazione negli U.S.A. di mio nonno paterno, del quale porto il nome: Primo, già minatore diciottenne in Pennsylvenia) continua con il rimpatrio nel 1915, le nozze nel 1919 con mia nonna Luigia (Gigia) Gandini, figura dell’emancipazione femminile ante litteram per la sua intera vita.

Spartiacque della narrazione è l’assassinio di suo marito, mio nonno, Primo Francescotti, da parte dello squadrismo fascista domenica 1° maggio 1921 (con altro giovane Andrea Stefano Barilli, anch’egli vittima innocente, ucciso con colpi d’arma da fuoco, da parte dei fascisti).

E’ riprodotta integralmente, nel volume, la sentenza della Corte d’Assise di Reggio Emilia del febbraio 1922, che in epoca di consolidato dispotismo del potere fascista, mandò assolti coloro che, in folto gruppo, arrivati da Reggio Emilia a Cavriago, spararono sulla folla.

Sono peraltro e pure rilevanti e, ritengo, di impatto emotivo le altre ampie parti dell’opera, con al centro mia nonna stessa, la mia famiglia e le persone che appartengono a questa storia dal 1906 al 1964 (lungo periodo cui il libro essenzialmente si riferisce, con intrinseca partecipazione, suggestione e narrazione dal passato, di fatti veri, con qualche limitato accenno a eventi rilevanti successivi, autobiografici)…

Primo Francescotti

Brevi cenni sulla libertà: diritti, regole…

Pubblicato da il 1 dicembre 2020

Capita a molti di riflettere, discutere e, a volte, di scrivere su questioni di vita quotidiana, di costume, di cultura, di questioni economiche, di politica, etc…
Si parla di problematiche generali, più spesso con accenti polemici inerenti accuse generalizzate al “sistema”, alla crisi e alla “involuzione” della società.
Certo i dati di fatto evidenti danno puntualmente conto attualmente delle ragioni di tale asprezza di giudizi critici, totalmente negativi.
Se alle questioni generali (si sente dire non raramente: va tutto male, l’economia è in grave crisi, la cultura è sottovalutata, la politica “fa schifo”) si sostituiscono tuttavia dialettiche ai vari livelli, di poteri, di competenze, di responsabilità di ciascuno, si finisce poi per porre attenzione sul singolo cittadino, sulla singola persona, e allora è inevitabile ragionare sui diritti e sui doveri, sulle libertà, per cercare di diffondere, ove possibile, anche notizie di dati positivi.
Ripensare oggigiorno i diritti, significa tuttavia anche proporsi la questione, più spesso speculare, dei doveri e quindi delle regole, delle norme giuridiche, delle leggi in vigore.
Le stesse, debbono essere osservate e non solo perchè tali, implicanti obblighi con sanzioni per il trasgressore, ma, in generale, in una prospettiva di una educazione rinnovata e più forte alla legalità, in quanto da ritenersi, se rispettate, proprio utili e proficue per il singolo e la società stessa. Osservanza delle regole ed esercizio della propria libertà coniugata con la libertà di tutti gli altri. Occorre per la cultura della legalità che sia ricreata, prima di tutto, una coscienza civica condivisa più informata e matura in tal senso, non essendo dunque sufficiente (a posteriori) la pur inevitabile funzione anche repressiva e deterrente del complessivo sistema giudiziario (in tal senso: Gherardo Colombo “Sulle regole” – Feltrinelli 2008).
E’ sotto altro profilo e su un altro piano che si pongono poi nel concreto questioni circa la valutazione della “bontà” delle leggi, circa la necessità di modificare la normativa qualora appaia o divenga inadeguata, non rispettosa dei criteri di giustizia sostanziale, di equità e altresì le connesse problematiche, non meno rilevanti, dell’interpretazione, oltrechè dell’applicazione delle leggi stesse.
Continuando però con queste argomentazioni che attengono a tali fondamentali questioni più generali, si finirebbe per uscire dai temi (sulla liberà etc…) che mi sono proposto e che dunque mi propongo ora di considerare nelle riflessioni qui espresse, sia pure, ovviamene, senza pretesa di compiuti riferimenti alla sterminata complessa bibliografia e dunque nemmeno con l’obiettivo di specifica esaustiva trattazione.

Imprescindibile inviolabile diritto dunque quello della libertà, declinata nei vari aspetti dell’esplicazione della personalità di ognuno in quanto appartiene al “sentire”, al DNA di ogni essere umano, l’inesauribile aspirazione ad una propria individuale possibilità di pensare, di partecipare, di libere scelte di azione, etc…
Viene alla mente la storia del novecento ove i nemici degli autoritarismi e delle dittature di matrice nazista, fascista, gli oppositori al regime, ponevano come prerequisito, rispetto a quello di ogni eventuale ulteriore loro progetto politico, di ogni altro valore, quello unificante, primario e assoluto della “conquista della libertà”. (pur avendo in Italia nei vari movimenti e partiti politici – di ispirazione marxista, o invece cattolica, repubblicana, liberale, etc…- progetti e idee tra loro nettamente alternativi al tipo di futura propugnata società, rispetto a quella allora esistente in Europa).
Diverse ulteriori proposte, da parte soprattutto di esponenti delle sinistre, in particolare con più accentuate finalità di uguaglianza sociale (pari possibilità, pari opportunità di ognuno, maggiore attenzione al rispetto della dignità dei meno abbienti, solidarietà – artt. 2 e 3 della ns. Costituzione) avrebbero potuto prevalere nella maggioranza dei cittadini solo in un mutato e nuovo sistema politico-sociale ed economico.
L’opinione largamente condivisa era, in ogni caso, che ciò potesse avvenire imprescindibilmente “dopo”, solo dunque a condizione sia che l’Italia uscisse finalmente dalla dittatura nazi-fascista, sia che fosse quindi riconquistata la libertà.
Da tale temperie culturale, politica e sociale, dalle esperienze tragiche, straordinarie di tale lungo periodo storico della prima metà del ‘900, è derivato l’insieme degli ideali, l’humus dal quale è quindi scaturita la nostra Costituzione ad opera dei 75 componenti dell’Assemblea Costituente, persone autentiche di grande esperienza e di non comune spessore umano, culturale, politico (per tutti: Umberto Terracini, Piero Calamandrei, Sandro Pertini, Ugo La Malfa, Giuseppe Di Vittorio, Feruccio Parri, Giorgio La Pira e, non da ultimi, Nilde Iotti e Don Giuseppe Dossetti, peraltro, com’è noto, entrambi cittadini onorari di Cavriago).
Avv. Primo Francescotti - Margherita Hack

La Costituzione, come si può leggere anche di seguito, enuncia principi universali cui non hanno tuttavia fatto seguito, in applicazione della stessa, coerenti leggi di attuazione, nè coerenti compiute conquiste sul piano dei diritti, etc..
Si sostiene che la Carta costituzionale, nei suoi valori fondamentali, è dunque ancora da attuare compiutamente, in buona parte e non da “modernizzare” (tra l’altro risulta essere ancora uno dei testi in assoluto meno letti, meno studiati, anche fra coloro che, più di altri, magari per il loro ruolo, sarebbero tenuti a conoscerla compiutamente).
In proposito è veramente notevole, per l’attualità dei contenuti, la recente raccolta di scritti di Piero Calamandrei “Lo Stato siamo noi” Instant Book Chiare Lettere ed. novembre 2011. I suoi scritti e discorsi ivi contenuti sul periodo dal 1946 al 1956 sono di chiarezza concettuale di notevole e assoluto spessore culturale, politico, di incredibile acume, lungimiranza, di attualità e anche addirittura di possibile criterio per una lettura disincantata e critica di buona parte dei problemi dei nostri giorni: così, tra l’altro, afferma “la Costituzione apre le vie per l’avvenire”.
E ancora e più recentemente con il titolo che si attaglia perfettamente a questa breve trattazione: “Non c’è libertà senza legalità” – Piero Calamandrei (riediz. Laterza 2013).

Per riprendere quindi di seguito e coerentemente l’argomentazione esposta, devo dire che ricordo di avere accennato alla questione della libertà in un brevissimo discorso spontaneamente pronunciato in conclusione “estemporanea” di una manifestazione per la ricorrenza del 1° maggio di qualche anno fa in piazza Don Dossetti a Cavriago.
Margherita Hack
Avevo tra le mani la Costituzione e scorrendola, mi ero accorto, (in quel momento, avevo avuto una più netta percezione in tal senso) della rilevante, non casuale, ricorrenza di termini quale “libertà”, “liberamente”, etc…. Basta semplicemente anche una primissima semplice consultazione per averne immediato riscontro documentale.
ART. 3 Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
ART. 8: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge …”
ART. 10 3° comma: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”
ART. 13: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, nè qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge …”
ART. 14 2° comma: “Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e nei modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale … ”
ART. 15 1° comma: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.”
ART. 16: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, …. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.”
ART: 18: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale ….”
ART. 19: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda …”
Rilevo, come autorevole contributo originale sul tema dei rapporti tra l’obbedienza ai dogmi, ai precetti della Chiesa e la rilevanza della libertà di coscienza dei credenti nonchè di ciascuna persona autentica, di buona fede, l’opera di un eminente teologo (allievo del cardinale Carlo Maria Martini, recentemente scomparso, com’è noto, straordinaria personalità, uomo di dialogo, di profonda fede, di un cattolicesimo attento all’oggi e alle prospettive dell’umanità, di vastissima cultura, di grande apertura intellettuale e, anche, tra i non credenti, di indiscussa autorevolezza): Vito Mancuso “Obbedienza e libertà – Critica e rinnovamento della coscienza cristiana” Ed. Campo dei fiori – 2012
ART. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure …”
ART. 33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi..
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse la piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.”
Ritorno dunque, a questo punto, all’art. 9 della Costituzione cit. in tema di promozione dello “sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica”, in coerenza e sinergia con il concetto di libertà della scienza (art. 33 della Costituzione, cit.).

Quanto ho appena rilevato fa parte delle iniziali motivazioni proprie delle mie riflessioni esposte. Intendo quindi rilevare la grande considerazione per l’opera, l’attività scientifica, didattica in ambito universitario e di ricerca avanzata dell’eminente scienziata Margherita Hack, astrofisica nota in ambito nazionale e internazionale, componente, tra le altre, dell’Accademia dei Lincei, militante e appassionata di politica, scomparsa nell’estate 2013. Intendo riferirmi dunque al tema della libertà della scienza.
In proposito trascrivo di seguito nelle parti essenziali la sua illuminante opinione (era anche dotata di profonda cultura umanistica) circa la scienza, la tecnologia, etc… e gli eventuali limiti dovuti alla doverosa tutela del bene “uomo” (scienziata di grande rigore e onestà intellettuale, che si riteneva e si definiva agnostica razionalista – “ci sono cose che non sappiamo” -, di rilevante sensibilità per i problemi dell’umanità) come può leggersi anche dall’e-mail di risposta a mia domanda, implicante un certo “contagio” con questioni “spirituali”, esistenziali, oltreché con l’etica in senso lato.
Riproduco nelle parti essenziali la corrispondenza intercorsa di seguito.

Mail Francescotti-Hack
Tra le sue ultime pubblicazioni anche proprio su questi temi: Margherita Hack “Sotto una cupola stellata – dialogo con Marco Santarelli su scienza ed etica” Einaudi 2012

Per riprendere le motivazioni iniziali e le fila del discorso e per concludere continuo di seguito, e a titolo esemplificativo, l’indicazione di altri articoli della Costituzione che menzionano esplicitamente i termini “libertà”, “liberamente”, etc.

ART. 35 4° comma: “La Repubblica ……. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale e tutela il lavoro italiano all’estero.
ART. 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
ART. 39: “L’organizzazione sindacale è libera…..
ART. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana …..
ART. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associasi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
ART. 68: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, nè può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.”
ART. 111 7° comma: “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”.

L’elencazione degli articoli della Costituzione che precedono hanno un legame lessicale unificante relativamente alla parola libertà (e ai termini derivati: “liberamente” etc….) e veramente può ritenersi che tale ricorrenza dei relativi concetti espressi non sia dovuta al caso!
Margherita Hack - Avv. Primo Francescotti
Il precedente periodo della dittatura aveva evidentemente contribuito a “convincere” tutti i componenti dell’Assemblea Costituente della necessità di fare frequentemente e inequivocabilmente espresso riferimento al tema della libertà sul testo della Carta costituzionale.
L’esigenza essenziale di una scelta di ognuno di noi per la “parte giusta” per le “cose giuste” (in conformità ai principi della nostra Costituzione) può attendibilmente risiedere dunque nella difesa, in una forte propugnazione delle libertà di ognuno; libertà dunque da difendere, propugnare, rafforzare sempre e tenacemente, in indissolubile sinergia con un civismo “militante”, informato al dovere di responsabilità verso se stessi e gli altri, nel rispetto assoluto della dignità umana.
Del resto, sotto molti aspetti, sul piano degli ideali ad es. in Europa, anche una sinergia tra il messaggio cristiano in senso lato e una radice, un atteggiamento di fonte “illuminista”, induce comuni conclusioni e riflessioni “virtuose” in tal senso e non necessariamente solo contrapposizioni, come hanno poi indicato pure esperienze, movimenti e partiti anche in Italia negli ultimi anni del secolo scorso.
Com’è noto, altri valori fondamentali (non è qui il caso di citare tutti gli articoli della Costituzione) sono stati e sono, peraltro, per tutti, unificanti, fondanti della nostra Carta: inviolabile, in linea di principio, il diritto al lavoro – artt. 1 – 4 -35 – 36 – 37 e 38 Costituzione) per esemplificare: lavoro = dignità umana = libertà (e si potrebbe continuare a lungo con altri principi fondamentali della stessa): non è poi necessario aggiungere altro in ordine al fatto che la Costituzione debba essere effettivamente attuata, applicata nella realtà, per l’affermazione di valori umani universali.

Il perseguimento di uno status di libertà individuale(morale, politica, etc…) può essere raggiunto anche attraverso particolari originali percorsi di vita (che ricomprendano ad es. il volontariato, l’attività nel c.d. terzo settore, l’associazionismo laico e cattolico) e magari, per chi crede, anche attraverso un percorso di vera fede religiosa vissuta, vie dunque che comportano notevole coinvolgimento, anche se “non tradizionali”, non necessariamente identificabili, dunque, con il “lavoro” stesso (che è stato e rimane un valore tra i più importanti per l’uomo nella nostra società). Credere nelle proprie azioni conformi alla legge e coerentemente ai propri valori, può veramente significare per chiunque fruire, in notevole grado, della propria libertà individuale.
In tal caso una propria “autodisciplina” nei propri comportamenti, e attinente il rispetto delle “regole”, è espressione non di ingiusti condizionamenti individuali, bensì di scelte consapevoli e libere.
La “scoperta” delle “cose vere”, delle finalità essenziali ed importanti da perseguire dipende sempre più spesso, con atteggiamenti di umiltà ed utile “esercizio del dubbio”, da una commistione di vari saperi e non dalla rimozione, dall’esclusione di ciò che è (ancora) estraneo, ignoto (in contrapposizione ad una diffusa tendenza al c.d. “pensiero unico”).
La cultura, com’è noto, non è ovviamente solo erudizione, solo sapienza sul piano delle c.d. “scienze” sociali, della politica, dell’economia, del diritto, della sociologia., oltrechè della letteratura, della storia, della filosofia e delle più varie discipline. E’, in particolare, anche e soprattutto, saper cogliere, in ogni caso, l’essenza stessa delle “cose”, è osservazione del “mondo”, è anche lungimiranza, in particolare, predisposizione e impegno per la ricerca, in ogni ambito del sapere e ovviamente, scienza, impiego razionale ed etico della stessa.
Del resto da Dante a Leonardo, a Galileo Galilei, allo stesso Giacomo Leopardi (che si occupò anche di scienza) e dunque per i più grandi geni dell’umanità, la cultura scientifica non era mai disgiunta dalla cultura umanistica, nè, in ogni caso, da un profondo senso di personale “responsabilità etica”.
Quello che tuttavia è auspicabile ed essenziale, come hanno scritto espressamente Albert Einstein e altri grandi scienziati del nostro tempo, come Rita Levi Montalcini e, non da ultima, Margherita Hack, è che il mondo della scienza sia dunque informato alla doverosa tutela dei principi propri di un incondizionato “umanesimo etico”.
E’ necessaria un’analisi “spietata”, disincantata della realtà un atteggiamento il più possibile critico e autocritico , in senso lato, ma, al tempo stesso, finalizzato alla trasmissione, per quanto possibile, di speranza, di fiducia non acritica, di razionalità e coraggio, per un auspicato superamento e per un netto mutamento di molte realtà che appaiono – ma non sempre e ovunque – di particolare sempre più accentuata negatività e gravità e in contrasto col bene comune.
Di tanto, in termini di ampiezza di visione di comune impegno per obiettivi di socialità, di tutela del valore “uomo”, dunque di messaggi positivi, ha e avrebbe necessità il nostro complesso mondo attuale che, come tale, abbisognerebbe di più attenzione a quanto di creatività, di bellezza, di positività persiste e potrebbe essere realizzato dall’uomo nella realtà e che meriterebbe dunque rilevante passione civica e ben maggiore impiego di risorse, di investimenti, per la cultura, per la ricerca, nel nostro paese, in particolare.
Valori che, insieme alla buona fede, alla nobiltà d’animo di molti, alla fiducia dell’uomo nell’uomo, oltechè nella scienza e nei più diversi e straordinari saperi, costituiscono, per tutti, un potente “lievito” di socialità, di emancipazione, promozione umana, un unico inscindibile presidio di civiltà, di giustizia, di legalità, di democrazia, di giusta considerazione della cultura della politica, e della politica nobilmente concepita e praticata per finalità di tutela, di diffusione dei diritti (in particolare dei più deboli) e quindi di solidarietà e libertà.

Pubblicato su “23 Marzo”, 20 novembre 2013

Dedica di Mario Rigoni Stern

Pubblicato da il 1 novembre 2020

Pubblichiamo la dedica all’avvocato Primo Francescotti scritta da Mario Rigoni Stern sul suo capolavoro “Il sergente della neve” nel 2007  in un incontro ad Asiago, suo luogo di origine, pochi anni prima della sua morte.

Sullo stesso volume ha lasciato anche una annotazione manoscritta relativa alla ritirata degli alpini dalla Russia che contribuì a salvare dalla morte.


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foto-incontro-mario-rigoni-stern-2007

Una notte senza stelle

Pubblicato da il 1 ottobre 2020

Non è possibile cercare di introdurre l’opera di Gianni Carino, un fumetto documentato, colto e insieme immediato senza accennare, sia pure molto brevemente e sommessamente, alla personalità a tutto tondo dell’eminente protagonista del racconto.
Alessandro (Sandro) Pertini nato alla fine dell’800 in Liguria, percorre gran parte del ’900, ed è quindi partecipe, com’è noto, di moltissimi degli importanti eventi del cosiddetto secolo breve. Prende parte alla prima guerra mondiale; laureato in legge e in scienze politiche, al termine del conflitto si iscrive al partito socialista. È condannato nel 1925 per antifascismo. Lavora come operaio a Nizza ove si è rifugiato e continua la sua attività antifascista. Rientrato in Italia è condannato dal Tribunale Speciale del regime a 10 anni e 9 mesi di carcere, più tre anni di vigilanza speciale. È trasferito quindi al confino. Liberato entra a far parte nel 1943 dell’esecutivo del ricostituito partito socialista. Arrestato dalle SS subisce ancora pestaggi e torture ed è condannato a morte. Nel gennaio 1944, con uno stratagemma della resistenza romana (una falsa ordinanza di scarcerazione) riesce a fuggire, insieme a Giuseppe Saragat ed altri antifascisti, dal carcere di Regina Coeli. Partecipa, nella Resistenza, a molte battaglie contro i nazifascisti.
La sua odissea, con i vari episodi è raccontata efficacemente nel fumetto. Dopo il 25 aprile 1945 è eletto segretario del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Gli è conferita la Medaglia d’Oro della Resistenza. È direttore dell’Avanti!, Deputato alla Costituente, parlamentare. Scrive, tra gli altri, il volume Sei condanne, due evasioni, pubblicato nel 1970. Presidente della Camera dei Deputati dal 1968 al 1976. A larghissima maggioranza, viene eletto Presidente della Repubblica l’8 luglio 1978, da cui comincia il suo importante settennato.
Gianni Carino fa emergere tanti tratti della sua complessa e completa vicenda umana, politica e istituzionale, cogliendo l’essenza della figura di grande spessore umano, di coraggio estremo per la difesa delle proprie idee, di fierezza, di grande tensione morale, rigoroso, imparziale nell’attività istituzionale ai vertici delle più alte cariche dello Stato.
La sua personalità emerge dal fumetto, pur nella sua intransigenza sottesa a una grande statura morale, dotato di una grande sostanza umana, di carattere “scomodo”, diretto, sanguigno, capace di grandi slanci di generosità e di severissime e trancianti censure: una vita spesa al servizio del suo Paese (avrebbe voluto fin da giovane, da sempre socialista e fiero dell’appartenenza al suo partito, l’unità delle sinistre) con un’idea alta della politica.
Tanto alta ed integra che gli è riconosciuta, anche dagli avversari politici, una scrupolosa imparzialità e nonostante sia uomo con prese di posizioni a volte estremamente dure e nette, quasi sempre gli sono perdonate alcune espressioni a volte eccessivamente polemiche o di impulsivo sdegno, durante il suo lungo percorso istituzionale, proprie del suo carattere.
L’importanza del protagonista, della sua vicenda umana e politica richiede ovviamente una narrazione adeguata, una “pittura” coerente con la figura di Sandro Pertini in quell’epopea di lotta, di tragedia e infine di liberazione, di entusiasmo per la ricostruzione dello Stato, delle sue istituzioni nella nuova Costituzione della Repubblica.
Gianni Carino si rivela all’altezza dell’arduo compito.
Notevoli sono le doti artistiche dell’autore quando, con pochi tratti, dipinge i personaggi come tipiche figure da fumetto, quando talvolta sono più importanti, ai fini dell’opera, le cose che attribuisce loro che non l’espressività dei volti; ancora più riusciti forse, trasfigurati oltre la realtà “fotografica”, i paesaggi, gli interni, le case, gli scorci, le imbarcazioni mirabilmente interpretati e tratteggiati sullo sfondo e nelle atmosfere ricreate, che rivelano la tristezza e l’angoscia dei momenti di imminente pericolo o tragedia di quel particolare periodo storico.
Ancora più commoventi e ispirati i ritratti di Pertini, come lo abbiamo conosciuto quando era Presidente della Repubblica, realizzati con grande adesione emotiva, che l’autore riesce a trasmettere, rivelando doti di ritrattista, talvolta di pittore completo, dal tratto sicuro e insieme suggestivo ed emozionante.
L’opera è piena di illustrazioni, di “tranches de vie” che tuttavia sono filtrate dall’esperienza dell’artista attuale e sono frequenti le immagini decisamente belle (se, come si ritiene, del senso del bello, percepito dai più, si può ancora parlare).
Lo “strumento” del fumetto è un mezzo di espressione, in quanto più conciso, più diretto e suggestivo del libro, più quotidiano e accessibile dei film, non insolito, per la trattazione di argomenti storici e di cronaca.
Lo stesso autore, in questa occasione, come in altre, si è cimentato con successo, lo si ribadisce, con un soggetto “impegnativo”, una figura di primo piano, “unificante” per la stragrande maggioranza degli italiani.
Il mezzo espressivo utilizzato è impiegato con la grande passione professionale, politica e civile di Gianni Carino. Questi piega con la maestria dell’artista finito immagini e parole, spesso trasfigurate da un’autentica vena poetica, nell’ambito della migliore tradizione culturale letteraria e non solo e ciò attraverso la ricerca rigorosa e la trattazione dei dati storici, ricerca “mediata” e “condizionata” dalla cosiddetta “poetica della memoria” che ha caratterizzato notevolmente le espressioni artistiche del ’900. Felicissimo in questo senso l’utilizzo del flashback (fin dall’esordio dell’opera) rubato alla migliore cinematografia mondiale e italiana.

Pubblicato su “Patria Indipendente”, 11 marzo 2003

Cordoglio per scomparsa Norberto Bobbio

Pubblicato da il 1 settembre 2020

Pubblichiamo il messaggio di cordoglio pubblicato sul quotidiano on line “La Stampa web” a pochi mesi dalla morte il 06 marzo 2004.

Sono un avvocato di Reggio Emilia e con un interesse alla cultura in generale, al diritto, alla filosofia, alla politica in senso lato. Avrei voluto da tempo scrivere al prof. Bobbio ma non ho avuto l’occasione o forse il “coraggio” per farlo e ne sono rammaricato. Mi rimane forte l’influenza dell’intellettuale a tutto tondo, propugnatore, credo, di un “neoilluminismo” critico e moderno, foriero di proficue conquiste intellettuali per il futuro e di insegnamenti per la vita civile e politica.

POLITICA: TRA INDIVIDUALISMO E SOLIDARIETÀ

Pubblicato da il 1 agosto 2020

Mi sono chiesto se avevo qualcosa da dire dopo aver ricevuto il cortese invito rivolto ai collaboratori della “Rivista 23 Marzo”. Il periodo di ferie estive favorisce riflessioni,  un maggior raccoglimento che raramente è concesso durante l’anno a fronte di un’attività professionale quasi sempre,  a dir poco,  frenetica e non solo di chi scrive.
Molti, forse troppi, stimoli culturali, oltre a quelli già propri dell’attività lavorativa, mi provocano e mi inducono a scrivere queste righe, nella convinzione che il tema,  così impegnativo, approfondito e abusato insieme, abbia un certo interesse fra i potenziali lettori destinatari delle brevi considerazioni che seguono.
Prescindo volutamente dalle trattazioni dotte,  dai riferimenti di altissimo livello degli intellettuali che si sono occupati dell’argomento (dalla infinita bibliografia, dai filosofi greci e della civiltà classica in generale, a Macchiavelli, ad un maestro scomparso di recente come Norberto Bobbio, a Vittorio Foa, a Gustavo Zagrebelsky, ad Edmondo Berselli, a Giovanni Sartori, a Gianfranco Paquino, a Giovanni Reale, per citare solo i nomi di eminenti intellettuali che mi sovvengono per ora) per riflettere ulteriormente ed esporre in maniera estemporanea,  in termini semplici,  quello che penso.
A prescindere dalle domande sulle questioni fondamentali di tipo religioso che attengono ad un altro e diverso approccio, occorre davvero molto impegno personale e inoltre una certa forza interiore per riuscire a conseguire per i giovani intellettualmente onesti,  una sintesi per la formazione di una netta concezione politica,  anche solo di appartenenza ad una certa area (per comodità preferisco definire “aree”, sia quella di centro-sinistra, sia quella di centro-destra).
L’adesione ad un partito politico appartiene ad una sfera di interesse ancora più personale, ad una certa “passione” che esige una ancor più specifica scelta di campo.
Appartenendo le convinzioni politiche sia alla sfera della razionalità, sia alla sfera della “passione” (che scaturiscono dalle origini e tradizioni familiari, dal luogo di nascita e dall’ambiente e dalle relazioni interpersonali, dalla formazione culturale in generale, dalle esperienze di vita, dalle ingiustizie subite etc…) non può e non deve destare meraviglia che altri possano pensarla in modo diverso (e talvolta opposto) da ciascuno di noi (il che è connaturato alle idee di tolleranza,  di disponibilità all’ascolto e al dibattito, di democrazia).
Credo che sia importante che la gente,  i giovani in particolare,  si occupino e continuino ad occuparsi di politica in generale e anche di adesione alle varie forze politiche e dunque al partito politico nel quale ognuno possa, almeno in qualche modo riconoscersi (i partiti sono parte integrante dell’ordinamento democratico – art. 49 Costituzione: “ Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”).
L’inevitabile disincanto, a fronte del venir meno di alcune idee forza del secolo scorso,  può essere contrastato attraverso la ricerca incessante di una propria peculiare crescita umana, culturale completa,  e quindi anche politica (l’adesione ad un partito politico è logicamente un percorso successivo all’adesione  ad un’area politica,  ma è prima un’adesione estemporanea ad un partito politico e quindi magari di conseguenza,  all’area di appartenenza).
E dunque per esemplificare:
I^ ipotesi: l’uomo è per sua natura egoista, individualista,  preda e vittima di istinti di prevaricazione nei confronti dei suoi simili e istintivamente aspira alla massima e incondizionata libertà individuale; la natura dell’uomo non consente di superare tali suoi vincoli che attengono al suo modo di essere e di sentire,  alla sua istintività: è tesi pessimistica,  spietatamente scettica, che più facilmente è connaturata ad una concezione che fonda i suoi presupposti sulla immutabilità sostanziale dell’atteggiamento dell’uomo verso i suoi simili (homo homini lupus) pur tenendo conto,  ovviamente del progresso (scientifico, tecnologico etc…); l’obiettivo di una società con più uguaglianza tra gli uomini e più diritti per tutti,  con la tensione al massimo del bene comune,  è un’illusione; occorre prendere atto della impossibilità di riporre fiducia nell’uomo e necessariamente adeguarsi a tale ineludibile dato di fatto e comportarsi di conseguenza,  senza dunque alcun cedimento verso una sorta di “romanticismo ideale”, ritenuto foriero talvolta anche di pericolose e gravi conseguenze in concreto;
II^ ipotesi: l’uomo può evolvere e innovarsi dal punto di vista della propria crescita umana, anche in ragione dell’evoluzione stessa delle condizioni sociali, economiche,  culturali che attengono in particolare a nuove forme di civiltà favorite anche dalle nuove conoscenze in ogni campo del sapere,  del  progresso scientifico e tecnologico (anche se a volte,  secondo una certa tesi “scandalo” la tecnologia applicata può creare più problemi di quanti ne risolva): è la tesi che postula l’idea di riuscire “a gettare il cuore oltre l’ostacolo”, fino al limite dell’illusione,  ma senza mai sfociarvi (per la considerazione della realtà e per un atteggiamento di ragionevole coraggio), la possibilità in generale dell’uomo in concreto di emanciparsi dall’egoismo, di migliorarsi sostanzialmente,  di relazionarsi con i suoi simili non privilegiando solo l’aspetto della libertà,  ma anche e in particolare quello delle eguali chances di successo in tutti gli aspetti della vita di ognuno (secondo tale tesi la società è in grado di garantire “uguaglianza delle posizioni iniziali di ciascuno” senza distinzione di “sesso, di razza, di lingua,di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3 Costituzione).

Tra l’altro l’attuazione in concreto dei principi fondamentali (I^ parte) della nostra Carta costituzionale è stato ed è ancora attualmente un formidabile, patrimonio ideale “rinnovatore”,  paradossalmente poco conosciuto e costituisce un onere (nell’ambito di responsabilità, di ruolo, di competenza di ciascuno),  di comportamenti conseguenti.
Non può essere stato e non è solo il “sogno  – obiettivo” di una parte della generazione del secolo scorso quello di un mondo senza violenze, guerre, senza ingiustizie per “un’età dei diritti” da perseguire con razionalità e coraggio e senso critico,  previo esame dell’esistente,  ma con la necessaria tensione ideale: nè potrebbe essere “rimossa” l’idea delle forze cosiddette “progressiste”, di un impegno per la società migliore possibile, sorretto dalla fiducia nell’uomo,  dall’impegno militante per una razionalità positiva,  moderna e critica,  in primo luogo per una incondizionata ripulsa netta del mito della forza della violenza e della guerra,  dell’arbitrio, dell’illegalità, del sopruso e della prevaricazione dell’uomo sull’uomo.
E’ vero che vi è un maggior distacco della gente rispetto a quello che è la politica dei partiti oggigiorno per essere venuta meno una certa tensione ideale,  ma,  poichè per sua natura,  l’animo dell’uomo è inevitabilmente proteso sempre verso nuove conoscenze,  anche la dialettica politica fra le forze politiche si esprime e si esprimerà in forme nuove ed originali.
Penso ad esempio alla solidarietà,  allo straordinario fenomeno positivo del volontariato laico e cattolico che ha finito per attrarre di più i giovani rispetto alla politica dei partiti,  fenomeno che comunque appartiene alla “buona” politica.

Per quanto riguarda quindi la I^ predetta ipotesi si può forse convenire sul fatto che un atteggiamento scettico e “cinico” rispetto all’aspirazione ideale ad una società immune da ingiustizie, considerata utopistica,  inconcludente,  priva di realismo,  potrebbe indurre a giustificare al contrario e anche razionalmente lo status quo,  nonchè l’assenza di tensione ideale (finalizzata al formarsi di una società “giusta”) e di iniziativa riformatrice e quindi l’inevitabilità e la permanenza delle disuguaglianze, talvolta anche “disumane” e in generale dei mali che affliggono la n/s società,  il mondo dei nostri tempi,
Per quanto riguarda la II^ ipotesi, si può invece forse ritenere che,  per altro verso,  un atteggiamento che privilegi eccessivamente la tensione ideale verso un “mondo perfetto” in modo acritico,  può indurre comportamenti  “non virtuosi”, sterili e perfino talvolta contrari al bene comune.
Ovviamente tali considerazioni e tale distinzione tra le due ipotesi opposte devono essere considerate brevi e sommarie semplificazioni di problemi ancora più profondi ed evidentemente molto più complessi.
Mi auguro che queste righe scritte di getto suscitino la curiosità intellettuale (atteggiamento sempre fecondo per la crescita culturale di ognuno) dei lettori della rivista,  specie dei giovani.

Avvocato Primo Francescotti

 

Pubblicato sulla “Rivista 23 Marzo – Cavriago nella politica, nella cultura,  nella storia”

Giustizia, Diritto e …Giurisdizione: parliamone

Pubblicato da il 1 luglio 2020

Con l’obiettivo di esprimere alcuni semplici concetti ed, ovviamente, senza la pretesa quindi di esaurire l’argomento per la sua natura suscettibile invece di una trattazione complessa, già infatti oggetto di approfondite analisi compiute da eminenti e noti autori di diritto, di filosofia, di sociologia e di altre discipline, mi accingo a scrivere queste brevi note suggeritemi dall’esperienza pratica quotidiana.
Mi è capitato qualche volta per i più svariati problemi, anche non posti come questioni legali, di sentir dire: “Questa legge non è giusta”.
Tale affermazione potrebbe sembrare contradditoria, essendovi la tendenza tanto diffusa, quanto sotto certi aspetti, apprezzabile, a identificare ciò che è legittimo (cioè conforme alla legge vigente) con ciò che è giusto (cioè moralmente condivisibile).

Il “diritto” naturale

Tale convinzione però è errata. Vivremmo probabilmente in un mondo eticamente migliore, se il diritto si identificasse sempre con la giustizia.
Orbene, per giustizia può intendersi un comune sentire insito in ogni uomo che i filosofi del diritto definiscono diritto naturale (es. per chiunque in generale, almeno in Europa, è proibito l’omicidio), mentre per diritto positivo può intendersi l’ordinamento giuridico e cioè il complesso di norme giuridiche vigenti destinate a regolare i rapporti fra gli uomini di una determinata società.
E’ evidente la differenza fra diritto naturale (giustizia) e diritto positivo vigente in questo semplice esempio: se il titolare di un diritto non lo fa valere entro un determinato periodo di tempo, perde definitivamente il diritto stesso (prescrizione, oppure decadenza).
Se l’interessato doveva conseguire in forza di quel diritto, un risultato importantissimo e non ha fatto valere in giudizio tempestivamente quel diritto con conseguente perdita irrimediabile dello stesso perchè magari ignorava che occorresse esercitarlo entro un determinato termine, ritiene ingiusta la perdita del diritto stesso.
Tale conseguenza, stante la situazione creatasi (di compiuta prescrizione, o di decadenza) è invece legittima, cioè conforme al diritto vigente (anche se certamente, dal punto di vista dell’interessato, non moralmente giusta).
Con altra espressione può dirsi che vi è ovviamente differenza fra il cosiddetto diritto naturale (senso innato di giustizia) e il diritto positivo e cioè il complesso di norme giuridiche (scritte) vigenti, valide ed efficaci dotate della essenziale caratteristica di essere cogenti e “obbligatorie” per i destinatari delle stesse.

La teoria di Hans Kelsen

Secondo la teoria del diritto sostenuta, tra gli altri, da Hans Kelsen (noto filosofo del diritto, nel volumetto che ho trovato pubblicato da Einaudi, alla fine degli anni ’60) sulla “dottrina pura del diritto” è quella secondo cui il diritto è un quid da considerarsi semplicemente come insieme di norme cogenti non influenzabili da giudizi soggettivi di valore che prescinde dalla morale, dalla religione, da tutte le altre discipline.
Nel volume edito da Etas-Kompass “Teoria generale del diritto e dello stato” lo stesso autore attribuisce al diritto una propria autonomia come scienza autonoma, separata da tutte le altre discipline, dalla morale, dalla religione e considera le norme giuridiche, come si è detto, come regole dotate soltanto della caratteristica di essere cogenti.
“Dal punto di vista di un positivismo giuridico conseguente, tanto il diritto quanto lo stato non possono essere conosciuti in modo diverso che come un ordinamento coattivo della condotta umana, sul cui valore morale o di giustizia non si esprime alcun giudizio. Non si può quindi concepire giuridicamente lo stato nè più nè meno di come si concepisce il diritto”. Non sembra ovviamente condivisibile tale impostazione formalistica criticata, tra gli altri, anche da Edwin Schur in “Sociologia del diritto” ed. il Mulino, in quanto le conseguenze circa l’applicazione di tale teoria potrebbe portare a sistemi totalitari, o a conservare lo status quo a discapito del progresso e della stessa giustizia.

“Diritto” come strumento?

Del resto la certezza del diritto che è un corollario della suddetta impostazione non è in effetti forse il frutto di una “ideologia” intesa nel significato di “strumento” destinato a perpetuare lo status quo?
Secondo autori che hanno un approccio sociologico al diritto, quest’ultimo deve intendersi come “sovrastruttura” in analogia con il con il concetto marxiano del termine: il diritto è quindi un insieme di norme giuridiche cogenti cui è “sottesa” la società e quindi per la valutazione dello stesso, non può prescindersi da giudizi di valore.
Anche e soprattutto l’applicazione del diritto e cioè l’esecuzione della funzione giurisdizionale presenta gravi problemi.
Modestamente ritengo che un obiettivo da perseguire per una corretta interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche dovrebbe essere quello di tenere un atteggiamento estremamente rigoroso nell’applicazione dei criteri ermeneutici e d’altra parte, nell’incertezza dell’interpretazione, e, soltanto in tal caso, preferire la soluzione che contemperi il soddisfacimento dei criteri del diritto positivo con quelli di un’accezione più avanzata delle norme giuridiche (cui è sottesa una realtà in divenire) ispirata al senso di giustizia sostanziale, in una parola all’equità (per altri al diritto naturale) che ovviamente muta con il mutamento della società intesa come complesso di valori in continua lenta evoluzione. Ulteriore questione connessa a quelle precedenti è quella del linguaggio: le modalità “esoteriche” di espressione dei giuristi (come di altri specialisti) sono dettate da esigenze, da necessità insite nella materia e ad essa strettamente connaturata o sono invece davvero utilizzate per perpetuare l’ignoranza delle leggi? Tale problema non è di facile soluzione.

Pubblicato su “23 Marzo”, 1 dicembre 1990

Articolo di avv. Primo Francescotti pubblicato in rivista specializzata di settore e anche di diritto alimentare “EURO FISHMARKET” numero 30 del 29/11/2019 n. 2

Pubblicato da il 1 gennaio 2020

PREMESSA

Può ritenersi responsabile di lesioni personali colpose,  di commercio di sostanze alimentari nocive e di delitto colposo contro la salute pubblica l’operatore della mensa scolastica che abbia preparato polpette di pesce tralasciando la presenza di una lisca,  nel caso in cui la lisca in questione abbia causato un danno rimanendo incastrata nella gola di un bambino che aveva consumato la sfortunata polpetta?. Si può asserire che una polpetta di pesce contenente una lisca sia una sostanza alimentare nociva in concreto per la salute pubblica? E’ corretto considerare la lisca alla stregua di un “corpo estraneo” all’interno di una preparazione alimentare a base di pesce? Qual è il livello di zelo richiesto in capo all’operatore della mensa scolastica? E’ realistico esigere il “rischio zero” rispetto alla presenza di lische in preparazioni ittiche? A tutti questi interrogativi ha dato risposta la sentenza del Tribunale Penale di Trieste del 02/07/2018 che riportiamo per intero a seguito del commento dell’avvocato Primo Francescotti di Reggio Emilia che ha difeso nel suddetto procedimento e con cui Eurofishmarket ha collaborato.

Si annota la sentenza del Tribunale Penale di Trieste  del 2/7/2018 (ud. 4/6/2018)
La stessa è esaustiva in ordine all’esposizione dei fatti e congruamente motivata.
Non sono rinvenibili nè in dottrina, nè in giurisprudenza fatti storici quale quello per cui è sorto il relativo procedimento penale; la “novità del caso” ha suggerito la presente breve nota.
Un bambino di poco meno di 4 anni di età, utente del servizio di ristorazione scolastica del Comune appaltante, gestito da impresa di ristorazione scolastica, appaltatrice, per non meno di complessivi 5000 pasti al giorno ha subito danno, sia pure lieve, dall’ingestione di porzione di polpetta di merluzzo, compravenduto, fornito spinato (deliscato), ma contenente invece una  (sia pur unica) lisca di pesce, “corpo estraneo” di cm. 1,5 rimosso dalla faringe del bimbo con semplice intervento in ambulatorio pediatrico e pronta dimissione in die.
A seguito dell’atto di querela da parte dei genitori, è sorto procedimento penale (innanzitutto ex art. 113 e 590 c.p.) a carico di quattro imputati che rivestivano vari ruoli  ritenuti inerenti i reati  contestati.
Era rimessa querela  a fronte di risarcimento dei danni per le lesioni al minore, con rituale accettazione della remissione di querela da parte di tutti gli imputati.
La Procura della Repubblica aveva ritenuto la violazione di ulteriori norme, stante che il fatto  atteneva alla violazione dei criteri propri della doverosa tutela della salute pubblica, bene tutelato dall’art. 444 (ipotesi dolosa) e 452 u.c. c.p. (ipotesi colposa).
Il fatto che non avrebbe dovuto esservi alcuna spina di pesce in nessuna delle polpette di merluzzo somministrate ai piccoli utenti della ristorazione scolastica è assunto di per sé indiscutibile (il pesce è peraltro alimento raccomandato per la ristorazione scolastica – es. scuole materne, etc… – da Linee Guida Regionali).
La presenza casuale di una sola spina di pesce in una unica polpetta (tra le 10.000 polpette di merluzzo preparate e somministrate quel giorno  per la refezione nelle varie  scuole del Comune) esclude il nesso di causalità tra il comportamento dei singoli imputati e l’evento  (ingestione della spina di pesce da parte del bambino).  Per l’attività di pesca sono rinvenibili al riguardo, nell’istruttoria dibattimentale, le relative metodiche, altamente professionali, di eliminazione delle lische di pesce, il mantenimento della catena del freddo durante l’intera filiera, la preparazione delle polpette attraverso la preventiva triturazione precauzionale dei filetti merluzzo  (acquistato dall’impresa di ristorazione) in quanto già deliscato, per la loro somministrazione, previo ulteriore controllo, agli scolari.
Va precisato  che i filetti di merluzzo acquistati surgelati, spinati, deliscati, in tal modo conservati e trattati, non  sono ovviamente alimenti nemmeno potenzialmente pericolosi per la salute dei consumatori,  per la sicurezza alimentare,  per la salute pubblica.
Il Tribunale, all’esito di compiuta istruttoria, ha giudicato che gli addebiti riconducibili secondo l’accusa agli artt.  444 e 452 u.c. c.p., stante il caso concreto non consentivano di affermare “con appagante certezza l’effettiva potenzialità e diffusività lesiva”  di quell’unica lisca da merluzzo surgelato presente in una sola delle 10.000 polpette somministrate quel giorno nelle scuole del Comune di Trieste.
Nello specifico è altresì decisiva e assorbente la determinazione in ordine all’elemento soggettivo del reato che, per i diversi ruoli e le diverse reali  ed effettive attribuzioni dei coimputati,  ha determinato il Giudice,  quanto al fondamento della tesi di tutte le difese degli imputati, in ordine alla ritenuta assenza di dolo e di colpa degli imputati stessi.
La sentenza argomenta  in ordine al  principio dell’affidamento per quanto riguarda la cuoca, imputata, che ha preparato, tra le altre, la polpetta “incriminata” stante il suo contatto diretto con la materia prima, poichè, nel manuale HACCP dell’impresa appaltatrice, di sua doverosa osservanza e nelle stesse istruzioni per l’uso riportate sulle confezioni, il prodotto era qualificato come già spinato e peraltro il pesce era stato sottoposto, a sua cura, a debita triturazione con macchinario adeguatamente funzionante e quell’ulteriore controllo possibile in concreto, prima dell’immissione del ciclo della ristorazione.
Per gli altri imputati  vengono in considerazione principi che attengono pure a quelli di precauzione e di prevenzione per quanto riguarda l’attività, il controllo specifico dell’assenza delle lische sulle navi da pesca stesse e  il mantenimento della catena del freddo, posto che i legali rappresentanti (imputati) di nessuna delle ditte che si sono occupate della fornitura e del trasporto ebbero contatto diretto con i filetti di merluzzo,  per il particolare ciclo di produzione e di trasporto del prodotto stesso.
Per analoghe ragioni il Tribunale ha ritenuto provate la buona fede  e l’assenza di colpa del responsabile dell’impresa di ristorazione scolastica per la concreta applicazione della procedura HACCP, per suo impulso, approntamento e controllo nello specifico da parte della stessa della procedura HACCP, contenuta in apposito manuale validato annualmente da noto Ente terzo, normativa propria dei regolamenti UE in materia di sicurezza alimentare  (Reg. CE 178/2002, 852/2004, 853/2004, 883/2004, etc… che rappresentano un importante essenziale presidio di prevenzione igienico-sanitaria, per la sicurezza alimentare, in particolare per la ristorazione scolastica e collettiva in generale).

Va aggiunto che un possibile rilievo in ordine al fatto  per cui è sorto il procedimento potrebbe far ritenere che la spina di pesce presente in una delle polpette di merluzzo  sia da identificarsi come “corpo estraneo” (come qualificato in ambulatorio pediatrico chirurgico), con le implicazioni che tale qualificazione potrebbe implicare (sono invece tali ad es. pezzetti di vetro, di metallo, di plastica, etc…, sia pure non frequentemente rinvenibili all’interno di prodotti preconfezionati). In realtà se, dal punto di vista medico, detta nozione può essere pertinente non altrettanto può ritenersi  per quanto riguarda il caso specifico, poichè la spina di pesce non è invero un corpo estraneo rispetto alla predetta sostanza alimentare; attiene in effetti alla “spina dorsale dei pesci e in genere al loro scheletro ed è ciascuno degli elementi ossei o cartilaginei che costituiscono lo scheletro”, nè, ovviamente, si potrebbe sostenere che, sotto altro profilo,  i filetti di merluzzo preconfezionati, surgelati, deliscati costituiscano di per sè sostante alimentari nocive.
A opposte conclusioni sarebbe probabilmente giunto il Tribunale, se gli imputati, ognuno per il proprio ruolo, avesse accettato il rischio di un probabile danno alla salute, in particolare nell’ambito di alimenti, nel caso destinati peraltro a utenti di minore età,   nell’ambito della ristorazione scolastica con consapevole violazione, durante la filiera alimentare, delle appropriate previste norme  di precauzione e di prevenzione per la sicurezza alimentare stessa.
In realtà  da nessuno degli imputati era invero esigibile, in concreto, un comportamento commissivo od omissivo diverso da quello effettivamente tenuto da ciascuno degli stessi.
La giurisprudenza di legittimità citata nella sentenza è del tutto coerente con la dottrina e con le ulteriori pronunzie: Cass. Pen. Sez. III 22/12/2010 n. 11500 consolidato principio secondo cui “l’integrazione della fattispecie criminosa di commercio di sostanze alimentari nocive richiede che le sostanze destinate all’alimentazione siano già potenzialmente e concretamente nocive…”  in De Jure;
La sentenza pone l’accento sulla necessità che ai fini della configurabilità dell’art. 444 c.p.  gli alimenti abbiano, in concreto la capacità di arrecare danno alla salute pubblica.
Nello specifico è decisiva e assorbente la determinazione in ordine all’elemento soggettivo del reato che, pur per i diversi ruoli e le diverse reali  ed effettive attribuzioni dei coimputati,  ha determinato il Giudice,  quanto al fondamento della tesi di tutte le difese degli imputati in ordine all’assenza di dolo e di colpa degli imputati stessi.
Puntuale è stato l’approfondimento in ordine ai reati ex art. 444 e 452 u.c. c.p.  di non certa applicabilità.

Nemmeno nell’attività di ristorazione e per i prodotti ittici può esistere infatti il c.d. rischio zero in relazione ad aspetti potenzialmente dannosi.
In difetto di negligenza,  imprudenza,  imperizia,  inosservanza di leggi, regolamenti,  ordini o discipline (tra l’altro è stato ritenuto il pieno rispetto dei principi di autocontrollo e della normativa HACCP)  per il fatto specifico per cui è sorto il procedimento penale, può essere configurabile una fattispecie riconducibile all’art. 45 c.p. (caso fortuito)

Avvocato Primo Francescotti

Si allega la Sentenza del Tribunale Penale di Trieste.